È ben noto che c.d. vincolo di giustizia (sportiva) individua, in estrema sintesi, quella serie norme atte imporre, per la soluzione delle controversie proprie dell’ordinamento giuridico sportivo, l’esclusivo ricorso agli strumenti di tutela giustiziale predisposti dalle Federazioni e dal CONI.
Ed è altrettanto risaputo che la violazione di tale obbligo posto in capo ai soggetti dell’ordinamento settoriale comporta conseguenze sul piano disciplinare, salvo che, come previsto ad esempio nello Statuto della FIGC, il Consiglio Federale, per gravi ragioni di opportunità, autorizzi il ricorso alla giurisdizione statale.
Di là dall’analisi sulla portata generale del dell’istituto in parola, è rilevate esaminare l’atteggiarsi del vincolo di giustizia allorché si versi in fattispecie di rilevanza penale e, dunque, verificare se lo stesso sussista anche per tali casi.
Tale questione è stata oggetto di scrutinio da parte del Collegio di Garanzia dello Sport (Decisione n. 26/2020 del 24 giugno 2020) e, ancora più di recente, dalla IV Sezione della Corte Federale di Appello della FIGC (Decisione n. 042/CFA del 5 novembre 2020); in entrambi i procedimenti la tesi della Procura federale si basava sulla assoluta necessità che i tesserati, qualora ritengano che in un episodio che tragga origine dall’attività sportiva siano integrati gli estremi di un reato perseguibile a querela di parte, debbano previamente rivolgersi al Consiglio Federale al fine di ottenere l’autorizzazione a ricorrere alla giurisdizione statale, in deroga al vincolo di giustizia.
Di diverso avviso, invece, sia il Collegio di Garanzia che la Corte Federale di Appello FIGC che hanno ribadito che la materia penale si sottrae alla giurisdizione sportiva e, pertanto, non sussiste alcun obbligo a richiedere l’autorizzazione agli Organi Federali per l’esercizio del diritto di querela.
Diversamente opinando si violerebbero i principi di cui agli art. 24, 25 e 102 della Costituzione.
Invero, la legge n. 280 del 17 ottobre 2003, all’art. 1, comma 1, prevede che “la Repubblica favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo” ed all’art. 1, comma 2 che: “i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvo i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”.
Trattasi dunque di un’autonomia limitata giacché da siffatto quadro normativo emerge una riserva di giurisdizione statale, talora esclusiva, tal altra concorrente, laddove fatti e situazioni giuridiche rilevanti per l’ordinamento sportivo non esauriscono i propri effetti all’interno dello stesso, ma siano altresì produttivi di conseguenze anche nel contesto extra-sportivo, assumendo pertanto rilevanza per l’ordinamento generale.
Nell’ambito sportivo, quindi, operano contemporaneamente la giustizia sportiva, preposta alla soluzione delle questioni e al soddisfacimento delle esigenze proprie dell’ordinamento settoriale di riferimento, e la giustizia statale, quale indispensabile garanzia a tutela delle situazioni giuridiche soggettive, se e laddove l’attività sportiva abbia rilevanza esterna nell’ordinamento statale.
È stata, quindi, prevista una riserva di giurisdizione statale nelle ipotesi in cui le sanzioni e gli atti di natura sportiva siano produttivi di conseguenze lesive nell’ambito dei rapporti sociali, e quindi assumono rilevanza per l’ordinamento generale. In tal guisa, la Giustizia Sportiva è preposta al soddisfacimento di esigenze proprie dell’ordinamento settoriale di riferimento, mentre la Giustizia ordinaria tutela situazioni giuridiche soggettive che hanno anche rilevanza esterna, che si riflette in seno all’ordinamento statale.
Logico precipitato di tali considerazioni è che la materia penale esula dalla giurisdizione sportiva non essendo quest’ultima in grado di garantire i diritti e le posizioni di diritto soggettivo del soggetto leso. Si vuole, cioè, dire che se il “vincolo di giustizia” è pacificamente applicabile in relazione all’ordinamento sportivo, lo stesso incontra un limite invalicabile con riferimento alla materia penale e, quindi, a reati che devono necessariamente richiedere l’intervento esclusivo del Giudice ordinario.
In altri termini, stante detto quadro ordinamentale, deve ritenersi che la materia penale è estranea senz’altro dalla giurisdizione sportiva, che è priva di potestas iudicandi e, pertanto, non in grado di favorire l’accesso a strumenti idonei a garantire qualsivoglia tutela delle posizioni di diritto soggettivo eventualmente pregiudicate.
Più specificatamente, il vincolo di giustizia per poter applicarsi deve presuppore la predisposizione da parte dell’ordinamento sportivo di strumenti alternativi e a livello funzionale omogenei rispetto a quelli previsti dalla legislazione statale e, detta omogeneità, non sussiste rispetto alla materia penale.
Il legislatore ha quindi inteso garantire al tesserato coinvolto in fatti aventi rilevanza penale per l’ordinamento giuridico statale il diritto di richiedere allo Stato di sanzionare penalmente il responsabile di un fatto reato (art. 24 Cost.) e di rivolgersi al giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.), che per le fattispecie penali è esclusivamente l’Autorità Giudiziaria Ordinaria.
Né potrebbe affermarsi che i fatti che costituiscono reati punibili a querela di parte dovrebbero rientrare nell’ambito di operatività del vincolo di giustizia in quanto si tratterebbe di fatti “neutri” per lo Stato. Infatti, sia i reati perseguibili a querela che quelli perseguibili d’ufficio hanno infatti ad oggetto la tutela di situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico, ciò che li differenza attiene solo alla punibilità, subordinata per i primi alla volontà della persona offesa; si tratta, dunque, di una distinzione del tutto irrilevante ai fini dell’applicazione del vincolo di giustizia. A ciò aggiungasi che la querela è un diritto strettamente personale, attribuito alla sola persona offesa, e come tale non può essere subordinato all’autorizzazione di terzi, con il rischio di un potenziale diniego.
In tal senso erano già espresse due decisioni, e cioè il lodo del 16 marzo 2009 della Camera di Conciliazione ed Arbitrato per lo Sport presso il CONI (Setten c. FIGC) ed il lodo del 16 novembre 2010 del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo sport presso il CONI (Guerra c. FIGC). La prima di tali decisioni ha così affermato: “Si conferma così la tesi che nello sport operano due giustizie: da un lato la giustizia sportiva, fatta di organi federali e di collegi arbitrali, che risponde a esigenze tipiche dell’ordinamento sportivo quali la necessità di affidare la risoluzione delle controversie a organi a competenza specifica e di ottenere decisioni in tempi rapidi; e, dall’altro, la giustizia statale, indispensabile garanzia delle situazioni giuridiche soggettive, se e laddove l’attività sportiva abbia rilevanza “esterna”, nell’ordinamento statale. Sarebbero pertanto impugnabili innanzi al giudice statale tutti i provvedimenti che presentino una rilevanza anche esterna all’ordinamento sportivo, determinino la lesione non solo di interessi esclusivamente sportivi, ma anche di interessi giuridicamente rilevanti, anche solo connessi con quelli sportivi, cioè la lesione di posizioni giuridico-soggettive riconoscibili come diritti soggettivi o come interessi legittimi. Un siffatto ragionamento viene ora fatto proprio dalla giustizia amministrativa (v. da ultimo Tar Lazio n. 2472 del 2008), per quanto attiene alla sindacabilità degli atti amministrativi emanati dagli organi di giustizia sportiva; a fortiori, questo ragionare non può non applicarsi anche e soprattutto per quanto attiene gli atti ed eventi di carattere penalistico, sulla cui giustiziabilità è competente solo il giudice ordinario (art. 102 Cost.). La materia penale, infatti, è da ritenersi certamente sottratta alla giurisdizione domestica del diritto sportivo, che è priva di potestas iudicandi; e pertanto non ha nessun strumento coercitivo per offrire e garantire una tutela. E’ questo il punto centrale della questione. E allora, se la materia penale è sottratta alla cognizione degli organi federali non si spiega l’esigenza, o addirittura l’obbligo, di richiedere a essi l’autorizzazione a rivolgersi al giudice ordinario: subordinare l’esercizio dell’azione penale all’autorizzazione del Consiglio federale vorrebbe dire porsi in contrasto con i principi di uno Stato costituzionale, come chiaramente esplicitati agli artt. 24 e 25 Cost. L’art. 30 comma 2°, dello Statuto Figc, che disciplina il “vincolo di giustizia”, mantiene intatta tutta la sua portata e validità nell’ambito dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, riconosciuto e favorito dalla Repubblica, ma si infrange laddove impatta con la materia penale, e quindi con reati che, a prescindere dalla loro azionabilità per querela di parte o di ufficio, impongono l’intervento esclusivo del giudice ordinario”.
La seconda di tali decisioni, nel condividere in pieno le affermazioni del suddetto lodo della Camera di Conciliazione ed Arbitrato, ha altresì affermato: “Porre tale obbligatorio adempimento procedimentale a carico di colui che ha subito gli effetti di condotte ascrivibili a ipotesi di reato per poter adire gli organi della giustizia ordinaria, infatti, non solo renderebbe meno efficace la tutela che l’ordinamento generale assicura alla persona offesa da un reato, ma finirebbe anche per affievolire lo stesso effetto di deterrenza delle norme penali nell’ambito sportivo. E poiché “subordinare l’esercizio dell’azione penale all’autorizzazione del Consiglio Federale vorrebbe dire porsi in contrasto con i principi di uno Stato costituzionale, come chiaramente esplicitati agli artt. 24 e 25 Cost.” (lodo Setten/Treviso contro FIGC, cit.), l’irrogazione di una sanzione disciplinare per non aver ottemperato alla richiesta di autorizzazione in parola, non può non confliggere con le citate norme costituzionali”.