Il mondo dello sport, e in questo ambito lo stesso calcio, non è poi così tanto differente dal resto della società e spunti di riflessioni possono essere assunti dalle migliori pratiche diffuse in altri settori, ovviamente riadattandole e reinterpretandole alla luce delle specificità.

Le soluzioni alla grave crisi in corso, che nel breve periodo le Istituzioni sportive adotteranno, dipendono da come saranno applicate (o meglio adattate) le regole esistenti. Per altro verso, invece, immaginare quale “calcio ci aspetta” – come dice Francesco Casarola nel suo editoriale del 3 aprile – non dipende solo da quali nuovi regole saranno adottate; se è vero che niente sarà più come prima, il calcio del futuro dipende ancor più dalla “comunicazione” istituzionale e dei principali operatori.

In tal senso va, in primo luogo, ribadito che ogni atto ha valore comunicativo e pertanto assumono significato e producono effetti anche quelle assenze, i molti ritardi e qualche silenzio che in questa crisi hanno contraddistinto diverse Istituzioni.

A prescindere dalle regole sui quorum necessari ad assumere le varie determinazioni regolamentari, la comunicazione non può limitarsi ad essere “diplomatica”. La comunicazione deve essere dialogica, ossia realmente funzionale a evitare una contrapposizione tra chi è chiamato a guidare e chi è guidato.

Anche per questa necessità di gestire dialogicamente gli interessi contrapposti, se si rimettesse ai collegi arbitrali la decisione sulla riducibilità o meno delle retribuzioni dei calciatori, le Parti sociali perderebbero autorevolezza e riconoscimento; non si sta discutendo di come gestire ritiri più o meno coatti né di provvedimenti disciplinari più o meno legittimi, tutti insieme stiamo affrontando una pandemia che avvolge tutti noi e che richiede maturità e coesione sociale. Il mondo dello sporto (e del calcio) rappresenta ormai un sistema economico/produttivo, un sistema di regole e un sistema organizzativo, ma nel suo complesso costituisce ancora un sistema di valori. Oggi lo sport non è la priorità (ci siamo privati anche della corsetta quotidiana) ma superata a fase più critica (speriamo presto) avremo bisogno ancora di modelli cui ispirarci; chi guida il calcio ha la responsabilità di proporci un modello in cui davvero riconoscerci e per il quale nuovamente appassionarci, ne avremo bisogno e non sarebbe la prima volta che un lo sport contribuisce a risollevare il nostro Paese.

E’ per questo, per quanto conti il mio pensiero, che mi preoccupa rimettere la gestione delle retribuzioni unicamente al codice civile (che sia l’art. 1464 o altro) ed è per questo che auspico che le parti collettive sappiano rapidamente assumersi la responsabilità di gestire un negoziato di buona fede che orienti e “condizioni” le parti individuali comunicando pubblicamente una soluzione condivisa (auspicabilmente nel senso di un significativo contenimento dei compensi da rimodularsi anche in via più che proporzionale).

Francesco Casarola si interroga, inoltre, sulla funzione stessa del calcio e delle società che ne consentono la pratica; si tratta di una domanda essenziale che io ritengo occorra allargare a tutto lo sport, magari distinguendo e lasciando a parte quegli sportivi professionisti ben retribuiti i cui contratti sono già disciplinati e per i quali ci si potrebbe probabilmente a limitare a un qualche miglioramento delle regole vigenti.

Guardando oltre al calendario di gestione della crisi in atto e in un’ottica di prospettiva, ma a mio avviso senza perdere tempo, massima attenzione (e una disciplina differente da quella vigente) la meritano tutte quelle situazioni di sportivi che percepiscono una qualche forma di retribuzione; sia essa frutto di sponsorizzazioni, riparto di diritti audiovisivi o applicazione di meccanismi di solidarietà a carico delle serie maggiori eventualmente interessate allo sviluppo dello sport di base (al fine di sviluppare giovani promesse oppure per garantirsi un pubblico di supporters affezionati e al contempo competenti).

In tal caso – mentre le regole del rapporto tra le parti possono essere ragionevolmente disposte anche in maniera originale e in deroga ai principi generali, magari attualizzando e rimodulando alcuni principi della l.n. 91/1981 – ritengo che vada affermato una volte per tutte che coloro che percepiscono un compenso in ragione di una prestazione hanno diritto a tutele sia previdenziali sia assistenziali. Siano essi atleti, tecnici, istruttori o personale gestionale gestionale-amministrativo, questo ultimo troppo spesso ignorato dai media e dalle Istituzioni.

A ogni lavoratore (pur confidando di dover gestire in futuro, eventualmente, situazioni di minor gravità) si deve garantire una qualche forma di tutela avverso lo stato di disoccupazione involontaria, da intendersi in senso ampio sia come tutela per una vera e propria mancanza di lavoro sia come tutela per uno stato di temporanea sospensione delle prestazioni, sospensione che sia tale da mettere in discussione l’equilibrio economico del rapporto e quindi il diritto alla retribuzione stessa.

Nel mondo del lavoro, le forme di ammortizzazione sociale in costanza di rapporto o da garantirsi al suo cessare definitivo sono state progressivamente estese alle diverse tipologie di lavoratori, secondo un disegno di universalizzazione della tutela dei redditi sicuramente riferita almeno all’ampia area del lavoro subordinato (in cui si dovrebbe ricomprendere anche il lavoro sportivo). Analoghe tutele sono state progressivamente garantite anche a tipologie contrattuali di confine, fino al lavoro autonomo.

Lo strumento principe per ammortizzare la perdita del redito è  costituito da 80 anni dalla CIG e da 20 anni dalla CIG in deroga. E’ possibile si giunga alla conclusione di un non facile ricorso alla CIGS da parte delle società sportive a causa delle specificità del rapporto di lavoro sportivo caratterizzato da una diversa modalità retributiva, degli “orari” non inquadrabili, delle obbligazioni “accessorie” che impegnano il lavoratore ben oltre il campo di gioco e di allenamento. Resta però il principio, costituzionalmente rilevante, per cui nessuna categoria di lavoratori dovrebbe restare esclusa da meccanismi di sostegno del reddito in caso di crisi occupazionali.

Perché non introdurre esperienze bilaterali e/o rafforzare quelle esistenti quali il Fondo di solidarietà www.assocalciatori.it/sites/default/files/attachment/pagina/Statuto%20Fondo%20di%20Solidariet%C3%A0.pdf ?

Altri settori produttivi, pur esclusi dal campo di applicazione della CIGS, hanno dato vita a Fondi di solidarietà bilaterali – FIS (artt. 26 e ss. d.lgs. n. 148 del 2015), costituiti dalle parti sociali, finanziati da tutti gli aderenti alla categoria, finalizzati a tutelare i lavoratori stessi e garantir loro un’indennità nei casi di riduzione, sospensione o cessazione involontaria dell’attività.

Ne trarrebbe ulteriore vantaggio l’autonomia dello sport che potrebbe definire regole e modelli esecutivi adatti alle proprie specificità, ne trarrebbe vantaggio l’immagine dello sport e le sue Istituzioni capaci di anticipare i problemi, se ne avvantaggerebbero quegli sportivi che dispongono di minori risorse individuali; il finanziamento a regime di un tale Fondo non dovrebbe essere limitato a contributi ad opera delle Parti sociali collettive ma dovrebbe essere garantito dai contributi di tutte le società e di tutti i lavoratori sportivi professionisti ma anche con la partecipazione attiva dei più ricchi in un’ottica solidaristica nonché nell’interesse del sistema come sopra richiamato, in quanto promozione e garanzia del calcio di base sono interesse anche dei massimi campioni.

Una volta istituito e avviato un tale Fondo, laddove non dovessero ripresentarsi significative crisi occupazionali, le risorse accantonate potrebbero essere usate anche ad altri fini, pur sempre in un’ottica solidaristica e forse ancora più ambiziosa, quali lo sviluppo e la gestione di programmi di riqualificazione professionale idonei a garantire l’occupabilità degli atleti professionisti al termine della loro carriera sportiva. In tal modo si darebbe vita ad un sistema di welfare categoriale integrato di cui il mondo sportivo mi sembra possa aver bisogno e che lo renderebbe almeno in parte autonomo nella gestione di situazioni critiche.

Un siffatto sistema, infatti, avrebbe il pregio di essere “autogestito” attraverso quegli strumenti bilaterali ampiamente diffusi e ben sperimentati nella quasi totalità degli altri settori (nei quali vengono promosse anche forme previdenziali o assicurativo-sanitarie complementari, di cui pure lo sport potrebbe avere utilità).

Uno strumento di questo tipo avrebbe anche il merito di garantire un’ampia flessibilità e quindi si presterebbe a soluzioni adatte alle specificità di situazioni meno facilmente inquadrabili in categorie astratte condivise con il resto del mondo del lavoro

Alle parti resterebbe la scelta se coinvolgere e in che misura coinvolgere in questo modello di welfare anche quegli ambiti qualificati come “semi-professionistici” ove agiscono nello stesso “campo” atleti compensati con retribuzioni (ancorché minimali) e dilettanti che si impegnano per lo più per diletto, per un qualche rimborso o comunque per cogliere altre utili opportunità non di natura retributiva.

E ben si coordinerebbe con una regolamentazione nazionale e federale che dovesse consentire – come sollecita Francesco nel suo testo – di “contrattualizzare” solo alcuni atleti selezionati, consentendo agli atleti di transitare da uno status all’altro in ragione della propria reale capacità e (se pure sembra ruvido a dirsi) delle “condizioni di mercato”.

Certamente occorrono attori sindacali maturi e desiderosi di costruire un modello sociale moderno e capace di ridurre le tensioni ed è necessario un senso di solidarietà interno e trasversale a tutta la categoria per cui chi è più realizzato nella professione e ha raggiunto compensi ragguardevoli sappia sostenere (a regime e in via continuativa) con la propria contribuzione anche l’offerta di servizi a cui egli potrebbe non dover mai fare ricorso. 

In tal modo potrebbero concretizzarsi quei valori e quei principi che l’editoriale di Francesco ha inteso promuovere quali “appartenenza e estremizzazione del concetto di comunità” … “che fa diventare ogni città una nazione”.

Condividendo l’auspicio al rinascimento del calcio (e dello sport in genere) e confidando che in questa fase di crisi le riflessioni di ognuno di noi apportino un qualche contributo al pensiero collettivo, mi permetto in conclusione di esprimere il personale auspicio che anche in un sistema valoriale capace di nutrire le nostre passioni, i legittimi interessi economici emergano per quello che sono e i diversi interessi di parte trovino un equilibrio nel rispetto dei diritti di tutti a cominciare da quelli di tutti i lavoratori.

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