Con la decisione n. 23/2021, il Collegio di Garanzia dello Sport, I Sezione, ha accolto il ricorso presentato dai tesserati di una Società di prima categoria, deferiti dalla Procura Federale Interregionale, annullando integralmente tutte le sanzioni inflitte, con obbligo di cancellazione dal cursus honorum dei ricorrenti delle squalifiche già scontate.
È importante delineare i fatti procedimentali e processuali intervenuti antecedentemente alla decisione del Collegio di Garanzia.
La Procura aveva fondato il deferimento sull’assunto di una “effettiva alterazione dello svolgimento e del risultato della gara” da parte dei tesserati per aver omesso di “profondere un qualsivoglia impegno agonistico, favorendo platealmente la squadra avversaria, il tutto all’evidente fine di determinare la sconfitta della propria compagine, poi effettivamente realizzatasi”. Tale risultato, secondo la Procura, era stato possibile anche grazie alla condotta di un calciatore che segnava volontariamente un’autorete, nonché all’incitamento dell’allenatore che “invitava i propri calciatori a raggiungere l’obiettivo della sconfitta”.
Tali condotte, conducevano la Procura FIGC a formulare i capi di incolpazione per illecito sportivo (attuale art. 30 CGS FIGC: “Costituisce illecito sportivo il compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica”)
Il procedimento dinanzi il Tribunale Federale Territoriale – conclusosi con sentenza di condanna – conduceva però ad una diversa qualificazione della fattispecie: il comportamento dei calciatori e dell’allenatore è stato certamente caratterizzato da una grave antisportività, ma è stato mosso, del tutto autonomamente, da un labile interesse di classifica. In tal senso, la condotta priva dei caratteri della fraudolenza e dell’intervento di atti provenienti dall’esterno non poteva essere qualificata come illecito sportivo, bensì integrate la violazione dell’art. 4 (vecchio art 1 bis) e dunque dei principi della lealtà, della correttezza e della probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva.
La decisione veniva dunque impugnata dinanzi alla Corte Federale d’Appello sia dalla Procura Federale Interregionale in parte qua, sia dai tesserati. La Corte quale accogliendo parzialmente il reclamo formulato dalla Procura, ha riqualificato il fatto ai sensi del citato art. 30 (già art. 7) CGS FIGC, riconoscendo le attenuanti di cui agli artt. 12 e ss stesso codice ed infine rideterminando in peius le sanzioni a carico dei ricorrenti, con ulteriore penalizzazione di 2 punti in classifica a carico della Società.
La pronuncia, ritenuta ingiusta ed errata dai tesserati ricorrenti, è stata impugnata dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport, con richiesta di proscioglimento o riduzione delle squalifiche, sulla base dei seguenti motivi: violazione dell’art. 35, comma 11, CGS FIGC, in riferimento al contenuto e all’efficacia probatoria del referto arbitrale; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, CGS FIGC in quanto i fatti descritti non troverebbero riscontro nel rapporto di gara; violazione dell’art. 7, comma 1, in relazione all’art. 40, comma 2, c.p. per insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia; illogicità e/o contraddittorietà della motivazione.
Il Collegio di Garanzia, nell’accogliere in toto il ricorso ha affermato i seguenti principi di diritto:
1) Non esiste la tipizzazione di una responsabilità corale ai fini della configurazione di un illecito sportivo;
2) Il referto arbitrale è prova legale assistita da fede privilegiata in relazione ai fatti che l’arbitro attesta essere accaduti in sua presenza e la sua messa in discussione va fatta con querela di falso e deferimento dell’arbitro alla Procura Federale;
3) Il giudizio di colpevolezza nell’ordinamento sportivo non deve raggiungere il grado di certezza previsto dal noto principio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, ma deve essere comunque assistito da indizi che abbiano le caratteristiche della gravità, precisione e concordanza, che conducano ad un univoco contesto dimostrativo;
4) Il giudice sportivo non può costruire fattispecie nuove di illecito, ma solo giudicare correttamente ciò che le norme prevedono in relazione ai fatti contestati.
1. Sul valore di prova legale del referto arbitrale
Secondo il Collegio di Garanzia la sintesi delle attività del giudice di gara – investito di un’attività avente connotazioni e finalità pubblicistiche (cfr. Cassazione civile, sez. un., 09 gennaio 2019, n. 328) – e di ciò che vede e sente è riportata fedelmente nel referto arbitrale, che, per costante orientamento giurisprudenziale, gode di efficacia probatoria privilegiata, ai sensi dell’art. 35, comma 11, CGS (oggi confluito nell’art. 61 del nuovo Codice di Giustizia Sportiva FIGC), circa il comportamento tenuto dai tesserati in occasione dello svolgimento delle gare. Tale ultima norma attribuisce ai referti arbitrali un valore probatorio simile a quello riservato dall’art. 2700 c.c. agli atti pubblici. Questa efficacia probatoria si estende non solo al tempo e al luogo della gara strettamente intesi (ossia tempo di gara e rettangolo di gioco), ma a tutti gli eventi che siano collegati alla gara stessa, atteso che l’espressione “in occasione dello svolgimento della gara”, contenuta nell’art. 35, comma 11, si riferisce chiaramente a tutte le circostanze che, trovando “occasione” nella gara, assumono rilevanza per l’ordinamento sportivo. Così il referto arbitrale mantiene la sua efficacia anche laddove i fatti descritti siano avvenuti a gara terminata (cfr., Collegio di Garanzia dello Sport, decisione n. 84/17).
Si precisa a tal proposito che nella loro funzione giustiziale, agli organi di giustizia sportiva è sì “applicabile” il principio di cui all’art. 116 c.p.c. e quindi del suo libero convincimento, ma tale convincimento si arresta dinnanzi alle prove c.d. legali, in cui il valore della fonte di prova (nel caso di specie il referto arbitrale) è predeterminato dalla legge (nel caso di specie dalla regolamentazione sportiva).
Non è possibile, pertanto, secondo il Collegio, attribuire (pubblica) fede privilegiata al referto arbitrale unicamente come valenza intrinseca del documento con riferimento al suo tenore letterale. Così ragionando si vanificherebbe il valore e il presupposto logico della fede privilegiata che riguarda i contenuti e la provenienza di essi. In altri termini, se il referto arbitrale dovesse essere considerato unicamente strumento a valore intrinseco, nessuna risultanza di esso potrebbe avere valenza ed efficacia esterna (o estrinseca) e, pertanto, qualsiasi contenuto sarebbe opinabile.
2. Sullo standard probatorio del giudizio di colpevolezza nell’ordinamento sportivo
Il principio delle Sezioni Unite del Collegio di Garanzia, per cui “lo standard probatorio nel procedimento disciplinare sportivo non deve spingersi sino alla certezza assoluta della commissione dell’illecito o al superamento del ragionevole dubbio, come è invece previsto nell’ordinamento penale. Il grado di prova sufficiente per ritenere sussistente una violazione delle regole poste dall’ordinamento sportivo deve essere superiore alla semplice valutazione della probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio” (Collegio di Garanzia, Sez. Un., n. 34/16), può essere applicato allorché si versi in ipotesi in cui in cui gli autori del fatto contestato sono ben individuati e le responsabilità, ancorché “non oltre il ragionevole dubbio”, vengano correttamente ascritte.
Nel caso sottoposto al vaglio del Collegio, tuttavia, era stata la stessa Corte di appello a chiarire “che non è stato individuato l’autore del retropassaggio e nemmeno sono stati individuati i calciatori che praticarono la “melina”.
Ed allora, secondo la ricostruzione della decisione in commento, in questi casi la valutazione superiore alla semplice valutazione della probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio, deve comunque essere sostenuta da fattori, anche indiziari, che non lascino spazio alcuno di penetrazione del dubbio in merito a quanto ricostruito; il giudizio, cioè, deve essere connotato da requisiti di certezza, gravità e precisione, ma richiede, poi, la convergenza di ulteriori circostanze che, valutate prima singolarmente e poi globalmente, ne comportino la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo.
Ma nella vicenda oggetto di scrutinio tale contesto non emergeva sotto un duplice profilo: un referto arbitrale (mai messo in discussione con querela di falso o deferimento dell’arbitro alla Procura Federale) privo di elementi descrittivi dei fatti contestati e un insieme di testimonianze lacunose, contraddittorie e che non hanno restituito gli autori dei fatti come affermato dagli stessi giudici di appello.
3. Sul principio di legalità formale in ambito sportivo e sulla illegittima tipizzazione di una responsabilità corale ai fini della configurazione di un illecito sportivo
Secondo il Collegio di Garanzia dello Sport, non può configurarsi una ipotesi di condotta e responsabilità “corale”, come definita dai giudici endofederali, perché tale ipotesi, da un lato, viola il principio di tipicità dell’illecito sportivo, dall’altro si pone in contrasto col principio generale di legalità a cui l’ordinamento sportivo non è estraneo, essendo sicuramente un ordinamento giuridico.
Invero, nessun Giudice può sostituire la sua funzione di “giustizia sulla fattispecie” a quella di “costruzione di una fattispecie”, cioè di un’azione di governo dell’organizzazione sportiva che sfugge a qualsivoglia giudice (sul punto decisioni nn. 27 e 42/2020)
A ciò aggiunge il Collegio che il Codice di Giustizia Sportiva della FIGC fornisce sanzione precisa a condotta precisa ed individuata. Il solco tracciato dalla norma riguardante l’illecito sportivo non consente di poter allargare o restringere la sua portata o il novero delle sanzioni scaturenti.
Ecco il perché, nell’approcciare le condotte violative delle regole, non bisogna discostarsi in maniera superficiale dalle specifiche previsioni normative, in corretta applicazione del principio generale penalistico del nullum crimen, nulla poena sine lege.
In altri termini, in assenza di previsione normativa, non è possibile adottare una sanzione per una condotta – la responsabilità corale – non prevista né tanto meno si può ricorrere all’analogia che, come è noto, sconta un suo divieto applicativo in ambito penalistico (e la sanzione disciplinare in ambito sportivo è equivalente ad una condotta penale), in forza del principio c.d. di legalità formale, nonché per quanto previsto dall’art. 14 delle disp. preliminari al c.c., per il quale “le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”, né, vieppiù, ci si può sostituire al legislatore creando fattispecie ad hoc basate, peraltro, su mere ipotesi non presenti neppure nel referto arbitrale.
Nota infine il Collegio di Garanzia, a maggior riprova della illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, che la CFA, nel definire correttamente l’illecito sportivo come una fattispecie a condotta commissiva, orientata e consistente nel “compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica costituisce illecito sportivo (comma 1). Le società e i soggetti di cui all’art. 1 bis, commi 1 e 5, che commettono direttamente o che consentono che altri compiano, a loro nome o nel loro interesse, i fatti di cui al comma 1 ne sono responsabili (comma 2)”, ha applicato poi la sanzione per un contegno, rectius condotta, di tipo omissivo, configurantesi nel “non opponendosi (o non opponendosi adeguatamente) alle azioni autolesionistiche dei compagni di squadra”, citando (impropriamente) il principio di causalità di cui all’art. 40, comma 2, c.p., per il quale non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a causarlo.
Ma se l’illecito sportivo postula il compimento di una “azione”, come può configurarsi tale fattispecie mediante una “non azione”?