Con la decisione n.66 emessa in data 21 gennaio 2021, la Corte Sportiva d’Appello Nazionale della FIGC si è pronunciata sulla condotta tenuta da un allenatore che, nel corso della gara, ha proferito espressioni offensive nei riguardi di un calciatore avversario.
La vicenda ha indotto la Corte ad approfondire nuovamente la previsione dell’art. 28 C.G.S., ai sensi del quale “Costituisce comportamento discriminatorio ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine etnica, ovvero configuri propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori.”
Com’è evidente il Legislatore ha volutamente conferito un ampio respiro alla disposizione appena richiamata, affidando al giudizio degli Organi di Giustizia Sportiva la valutazione sulla gravità della condotta del tesserato e la determinazione della relativa sanzione.
In tale ottica, i Giudici della Corte hanno evidenziato l’importanza della distinzione tra comportamenti di discriminazione razziale, intesi come “ostativi al naturale processo di integrazione tra i popoli” (e, in quanto tali, certamente più gravi) e comportamenti di discriminazione territoriale, così come esplicitati dalla norma. Su tale assunto, ritenendo la condotta perpetrata dall’allenatore rientrante nell’ultima fattispecie, hanno concesso il beneficio dell’attenuante generica o “innominata” di cui all’art. 13, secondo comma, C.G.S..
https://figc.it/media/130078/sez-iii-decisione-n-066-csa-del-21-gennaio-2021.pdf