Cresce il numero delle donne che scendono in campo con la divisa da arbitro e in molte realtà europee il professionismo femminile è già largamente diffuso.
Non esistono passioni di “genere”.
Per questo, in un momento così delicato per il calcio femminile italiano, da avvocato di diritto sportivo con un trascorso da calciatrice, ho deciso di mettere in risalto il volto rosa meno conosciuto della medaglia calcistica: quello dell’arbitro donna. Manuela Nicolosi è un’Assistente Arbitrale Internazionale appartenente alla Federation Française de Football, esempio di grande preparazione e competenza sportiva.
L’incontro con Manuela è, senza dubbio, un’occasione di confronto che ci darà l’opportunità di guardare più da vicino una realtà sportiva che da anni investe sul professionismo femminile e ne fa una politica vincente.
Sinora, in pochissimi si sono interrogati sulle disuguaglianze di genere in relazione alla pratica sportiva, eppure lo sport, nella sua accezione sociale, è il luogo in cui valorizzare quelle “differenze” che possono rappresentare risorse e talenti, anche nel mondo femminile.
La nostra è una vera e propria conquista dell’emancipazione che ha dovuto districarsi tra un evidente tasso di sportività (oserei dire) malamente distribuito e frequenti atteggiamenti che qualificano le attività sportive e agonistiche come domini ancora essenzialmente maschili.
A ciò si aggiunga che in passato il consolidamento dello sport femminile è stato rallentato e mediato da sistemi d’informazione ancora maggiormente improntati su un target per lo più maschile.
Perciò, dopo tante riflessioni sulle dinamiche che stanno coinvolgendo il calcio femminile italiano, soprattutto alla luce del recente Campionato del Mondo, durante il quale l’Italia è entrata in campo con una squadra composta da sole atlete “dilettanti”, in molti abbiamo sperato e sognato che il post-Covid potesse essere l’occasione giusta per dare un decisivo segnale di svolta.
Il professionismo, tuttavia, non è una “parola” semplice. È un concetto che, in primo luogo, porta con sé un’importante distinzione: sport professionistico nella sua complessità da un lato, e “status” professionistico di cui una giocatrice può beneficiare a fronte di un contratto, dall’altro.
Poco prima del lockdown, l’approvazione dell’Emendamento della Legge di Bilancio 2020 ha fatto ben sperare in un ulteriore passo avanti verso la tanto ambita (e meritata) conversione, sebbene l’inquadramento giuridico del calcio femminile come sport professionistico dipenda, di fatto, dalla vigente Legge n.91/1981 e dalla sua estensione nei confronti delle donne.
La scelta coraggiosa di Manuela Nicolosi
Manuela, grazie anche alla realtà in cui opera, ha fatto dello sport il centro della propria vita professionale.
La sua scelta è stata, per molti versi, una scelta coraggiosa e per questo meritevole di essere portata a conoscenza di tutti gli amanti di sport.
Innanzitutto perché, com’è noto a molti, l’arbitraggio deve fare i conti con i numerosi episodi di violenza che occupano, sempre più di frequente, le cronache sportive; in secondo luogo perché un arbitro donna opera, prevalentemente, in un contesto quasi unicamente maschile.
A tal proposito, afferma Manuela, «Sebbene anche l’arbitraggio, come il calcio femminile, può vantare una lunga storia, la nostra partecipazione alle gare come arbitri donne è vista ancora come una novità!»
Tuttavia, la designazione della terna tutta al femminile di cui Manuela ha fatto parte nella Finale di Supercoppa Europea tra Liverpool e Chelsea ha risvegliato gli animi dei tifosi e di tutto il mondo calcio che oggi, anche grazie alla direzione esemplare di queste professioniste, richiede una maggiore partecipazione di figure femminili: «È un segnale che qualcosa sta cambiando».
Molte figure maschili hanno voglia di confrontarsi con le colleghe donne e credono fermamente nel loro operato e nella loro professionalità. Ne è un esempio la scelta del Presidente della Commissione arbitri UEFA, Rosetti, proprio in occasione della finale di Supercoppa.
D’altronde, sembra che anche la questione “professionismo” del calcio femminile italiano inizi ad avere la sua risonanza e, mai come prima, i Mondiali di Calcio ne hanno dato prova. Il livello di professionalità e competenza delle calciatrici e della compagine arbitrale, di cui la stessa Manuela ha fatto parte durante l’attesissima Finale, dimostra come una passione possa divenire, anche per una donna, un vero e proprio lavoro.
Il professionismo femminile in Francia: non solo calciatrici
In tale ottica, aggiunge Manuela, la Federazione francese investe sul professionismo femminile da ormai dieci anni, forse più. Non solo sulle calciatrici, cui ha garantito un contratto e riconosciuto tutele e corrispettivi economici degni di atlete professioniste (parliamo anche di ingaggi da 200mila Euro annui), ma anche nei confronti degli stessi arbitri, regolando l’accesso alla carriera arbitrale mediante un concorso suddiviso per categorie, tra le quali vi è il settore femminile.
Tale criterio di selezione consente alla Federazione di dare la giusta importanza anche alla faccia rosa di questa carriera, prevedendo che il calcio femminile sia arbitrato unicamente da donne.
Com’è evidente, questa manovra ha avuto risvolti positivi su vari fronti, uno dei quali è sicuramente la cospicua partecipazione all’evento sportivo da parte del pubblico: «Ad una partita di Serie A femminile dell’Olympique Lyonnais, partecipano mediamente dai 20.000 ai 40.000 tifosi!»
Nell’ottica di aumentare il numero di tesserati, inoltre, la FFF ha altresì disposto l’obbligo per le società di tesserare con sé anche cinque arbitri, a pena di una sanzione pecuniaria.
In tal modo, le società sono incentivate a promuovere numerose campagne pubblicitarie per rendere più femminile il mondo del calcio e mettere in luce il valore sportivo dei propri tesserati.
Già da qualche anno, camminando per le strade delle principali città francesi, aggiunge Manuela, numerosi cartelloni pubblicitari riportano le foto della collega, Stephanie Frappart, la cui carriera è certamente un vanto per la Federazione e un esempio da portare a conoscenza di tante ragazze. La lunga strada per il superamento delle differenze, insomma, inizia a mettere in risalto le conquiste delle nostre atlete e ad accorciare quel “gap di genere” che priva lo sport della possibilità di continuare ad essere, principalmente, il tramite di valori e principi fondamentali con cui abbattere il muro di pregiudizi.