Corte Sportiva d’Appello Territoriale della FIGC LND – CR Sicilia – C.U. n.311/CSAT 22 del 19 febbraio 2019.
Con la decisione pubblicata nel CU n.311/2019 proc. n.84A, la CSAT ha riformato parzialmente le sanzioni di primo grado comminate dal GST, riconoscendo, tuttavia, la congruità e la proporzionalità della decisione assunta in ragione della sufficiente, dettagliata e puntuale descrizione degli eventi contenuta nel referto di gara. Nel merito, la Corte ha richiamato il principio espresso dall’art. 35.1 CGS (ora art. 61.1 CGS), evidenziando il valore di “piena prova” attribuita dall’Ordinamento sportivo alle dichiarazioni rese dai direttori di gara all’interno dei referti.
https://sicilia.lnd.it/sites/default/files/comunicati/2019-02/CU%20311%20CSA%2022_0.pdf
Approfondimento.
Da diversi anni siamo soliti assistere, soprattutto nei campionati “minori”, a violente contestazioni nei confronti dell’operato dei direttori di gara che spesso sfociano in atti di violenza.
L’incremento di tali fenomeni è testimoniato dagli innumerevoli provvedimenti assunti dalla Giustizia sportiva, alla quale è demandata un’attività di contrasto delle condotte perpetrate (anche) ai danni di tali figure.
L’arbitro è colui che, nell’esercizio della propria funzione, è incaricato di dirigere la competizione secondo criteri di terzietà, imparzialità e indipendenza, assumendo provvedimenti di natura tecnica, al fine di garantire che l’attività si svolga nel rispetto delle regole di gioco.
Ciononostante, la sua autorità viene spesso messa in discussione nel corso della competizione, esponendo chi riveste questo ruolo a contrasti con giocatori, componenti delle panchine e tifoserie, proprio a causa del disaccordo sulle decisioni assunte.
Tali contrasti, ormai frequenti, non si esauriscono al termine della gara: difatti, può accadere nella prassi che le Società che si ritengono lese dal contenuto del referto ne impugnino il contenuto, al fine di provocare l’accertamento degli avvenimenti oggetto di contestazione. Per questo, dottrina e giurisprudenza si sono più volte interrogate e pronunciate sulla valenza probatoria del referto e sull’eventuale ammissibilità di opposizioni alle dichiarazioni rese al suo interno.
Innanzitutto, per limitarne l’insorgere e fornire una maggiore tutela alla figura arbitrale, il Consiglio Federale della FIGC ha implementato le misure afflittive, consentendo ai propri giudici l’adozione di provvedimenti sanzionatori più severi nei confronti degli autori di tali condotte (cfr. CU 104/A del 17.12.2014): essi, infatti, hanno l’onere di emettere i provvedimenti sulla base del contenuto del referto cui attribuiscono, indiscutibilmente, valore di prova privilegiata, in ragione di quanto previsto e disposto dall’art 61.1 CGS: “I rapporti degli ufficiali di gara o del Commissario di campo e i relativi eventuali supplementi fanno piena prova circa i fatti accaduti e il comportamento di tesserati in occasione dello svolgimento delle gare. Gli organi di giustizia sportiva possono utilizzare, altresì, ai fini di prova gli atti di indagine della Procura federale”.
La norma è di chiara formulazione e non si presta a interpretazioni discrezionali.
D’altra parte anche la giurisprudenza nazionale si è espressa in senso conforme alle previsioni codicistiche, assorbendo l’orientamento del Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna (TAS) che ha sancito un principio di diritto sulla insindacabilità delle decisioni prese dai direttori di gara sul campo di gioco: “In previous CAS decisions, it has been established that CAS does not review “field of play” decisions made on the playing field by judges, referees, umpires and other officials, who are responsible for applying the rules of a particular game. An exception is nevertheless possible if such rules have been applied in bad faith. However, according to the CAS jurisprudence, it has been also clearly established that when a referee or umpire does not enjoy free discretion in his control of the game: he or she must comply with a game rule. A deviation by a referee or umpire from a mandatory game rule undermines the utility of the rule and, moreover, may affect the outcome of the game or the tournament” (Lodo del 15 aprile 2002, n. 2001/A/355, Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna (TAS), Lithuanian Hockey Federation (LHF)/International Hockey Federation (FIH)” – “Nelle precedenti decisioni CAS, è stato stabilito che CAS non rivede le decisioni inerenti il “campo di gioco” prese sul terreno di gioco da giudici, arbitri, assistenti e altri funzionari che sono responsabili dell’applicazione delle regole di un determinato gioco. Tuttavia, è possibile un’eccezione qualora tali norme siano state applicate in malafede. Secondo la giurisprudenza CAS è stato anche chiaramente stabilito che quando un arbitro o un assistente non gode di una libera discrezionalità, egli deve applicare una regola di gioco. La deviazione da parte di un arbitro o di un assistente da una regola di gioco obbligatoria mina l’utilità della regola e, inoltre, può influire sull’esito della partita o del torneo ”(Lodo del 15 aprile 2002, n. 2001 / A / 355, Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna (TAS), Federazione lituana di hockey (LHF) / Federazione internazionale di hockey (FIH)”.
Tale orientamento, più volte richiamato nel nostro ordinamento sportivo, ha assunto nuove prospettive: in particolare il Tribunale Nazionale Arbitrale dello Sport (TNAS), sull’assunto appena descritto, ha introdotto la questione relativa l’assenza di un vero e proprio contraddittorio rispetto al contenuto del referto arbitrale, cui ha riconosciuto debita giustificazione all’interno della previsione normativa, in quanto volta ad assicurare che la competizione sportiva si esaurisca al suo termine.
Le decisioni arbitrali, funzionalmente connesse allo svolgimento della gara, infatti, non possono essere contestate e rideterminate, ad eccezione di alcune circostanze espressamente previste dal codice. In tal senso è utile richiamare il secondo comma dell’art 61 CGS, il quale, sul punto, dispone che :“gli organi di giustizia sportiva hanno facoltà di utilizzare, quale mezzo di prova, al solo fine della irrogazione di sanzioni disciplinari nei confronti di tesserati, anche riprese televisive o altri filmati che offrano piena garanzia tecnica e documentale, qualora dimostrino che i documenti ufficiali indicano quale ammonito, espulso o allontanato un soggetto diverso dall’autore dell’infrazione”.
La necessità per il Legislatore di rendere esplicite tali ipotesi è motivata dal contenuto della disposizione codicistica, la quale, al primo comma, attribuisce ai referti arbitrali un valore probatorio pieno e assoluto, determinando un netto limite nella potenziale riqualificazione delle decisioni dei giudici di gara, le c.d. “field of play decisions”: si tratta di circostanze che assumono rilevanza per l’Ordinamento sportivo e da cui dipendono le sorti dei campionati e, ancor prima, dei singoli tesserati. Se il codice, infatti, non gli conferisse valore privilegiato, le rilevazioni arbitrali perderebbero valenza nel tempo e nello spazio in cui sono assunte, finendo per avere un carattere meramente provvisorio. Tale circostanza inficerebbe irrimediabilmente lo svolgimento delle attività sportive e la certezza dei loro risultati.
Ma non è tutto. Le riflessioni inerenti il referto arbitrale hanno spalancato le porte ad una seconda problematica, ovverosia la diretta connessione tra l’efficacia probatoria del referto di gara e l’inquadramento giuridico della figura dell’arbitro. Le due questioni sono apparse sin da subito strettamente correlate, poiché dalla risposta a questi interrogativi dipendono rilevanti conseguenze giuridiche.
Sul punto la giurisprudenza sportiva, sia a livello nazionale che internazionale e quella statale sono approdate a conclusioni molto differenti. I giudici si sono dovuti pronunciare sulla possibilità di qualificare l’arbitro come pubblico ufficiale o, “semplicemente”, come un mero esecutore di poteri conferitigli dal competente organo sportivo.
Una parte della giurisprudenza ritiene di dare al quesito risposta affermativa: il direttore di gara è un pubblico ufficiale. La ratio di tale orientamento risiede nel fatto che egli rappresenta il braccio di un Ente pubblico, il Coni (L. 426/1942) e poiché la Federazione è, a sua volta, organo del Coni, l’arbitro che viene delegato di svolgere un’attività per conto e nell’interesse della Federazione esercita una prestazione di natura pubblica e pertanto può essere riconosciuto come pubblico ufficiale (cfr. Pretura di Castelfranco Veneto del 29.11.1985).
Secondo altro orientamento, anch’esso favorevole, tale attribuzione non è determinata da un rapporto di dipendenza tra il direttore di gara e la Federazione, bensì dal fatto che alle competizioni sono attribuiti interessi pubblici come scommesse e altri giochi riconosciuti dallo Stato. Il suo operato, di fatto, realizza un interesse pubblico perseguito dal Coni.
Tuttavia, la definizione dell’arbitro come pubblico ufficiale involge questioni che nulla hanno a che vedere con l’Ordinamento sportivo e le cui ricadute si ripercuoterebbero sia sulla qualificazione della condotta dei tesserati nei confronti del direttore di gara (troverebbero applicazione norme relative ai reati commessi contro un pubblico ufficiale e contro la pubblica amministrazione), sia, come detto, sulla qualificazione dello stesso referto arbitrale che, a questo punto, diverrebbe un atto pubblico, come tale impugnabile con strumenti appartenenti all’Ordinamento statale.
Per questa ragione, interventi differenti e maggioritari hanno ritenuto collocare la figura dell’arbitro nel mondo a cui appartiene: quello sportivo. In tal senso, va preliminarmente precisato che egli è un associato AIA che, a sua volta, è componente della FIGC. Le Federazioni sportive, nonché i relativi Comitati regionali, sono soggetti di diritto privato legati, come innanzi detto, al CONI, ma da un rapporto “esterno”, nel senso che gli Enti restano fra loro autonomi e tra gli stessi non vi è confluenza degli interessi e delle funzioni. (Cass. pen., 02.08.2000, n. 8727). L’arbitro, pertanto, riceve i poteri di direzione e controllo del corretto svolgimento della gara nel rispetto delle regole imposte dalle Federazioni dall’Organo sportivo, il quale gli attribuisce la facoltà di infliggere sanzioni tecniche senza che tali provvedimenti assumano valore di atti amministrativi o, addirittura, di sentenze. Egli gestisce eventi che certamente ricoprono un pubblico interesse, ma le cui vicende giuridiche, limitatamente ad alcune eccezioni, risultano irrilevanti per lo Stato.