La pallavolo è uno sport da sovversivi e anche lo sport più pericoloso del mondo?
La prima affermazione pronunciata da Mauro Berruto, ex CT della Nazionale, e resa celebre da un video prodotto dalla Fipav Treviso qualche anno fa, condiviso sui social di qualsiasi pallavolista di ogni età e serie, è un qualcosa che, a noi pallavolisti, ci ha fatto sornionamente sorridere.
La seconda, frutto di una prima fugace lettura del report di qualche giorno fa redatto dal Politecnico di Torino sui fattori di rischio nell’attività sportiva, invece, ci ha lasciati, fino alla smentita di ieri, basiti e perplessi e ha trovato persino nel mitico Julio Velasco una pronta e veemente replica alla categorizzazione fatta dallo studio torinese.
Come può considerarsi la nostra amata pallavolo più pericolosa, nella ripresa delle attività, rispetto a tanti più sport da contatto? Ora, tralasciando le motivazioni scientifiche e matematiche (densità per mq? Sigh!) che probabilmente hanno pesato nella stesura della prima bozza del report, resta un dato di fatto: sono state le Federazioni, ciascuna per la propria disciplina, a compilare il questionario da cui è disceso il lavoro del Politecnico che ha come scopo quello di fornire indicazioni e azioni di mitigazione che possano accompagnare la ripresa dell’attività agonistica in virtù delle specificità proprie di ciascuna disciplina sportiva.
Stupore, dunque, tra gli addetti ai lavori che lì per lì hanno pensato: si affossa così la ripresa del nostro sport?
Lo abbiamo pensato in tanti tra i tesserati FIPAV.
Ed, invece, la verità forse sapete quale è: che la Federazione Italiana Pallavolo, forse, è stata più “onesta” di tanti nel rispondere ai quesiti propostigli pensando anche alle responsabilità penali e civili a cui i presidenti di ogni associazione si sottoporranno alla riapertura. Come è stata più “onesta” nel sospendere le attività federali, tra le prime negli sport di squadra, non appena si è resa conto che la situazione fosse ben più grave di quello che ci auspicava nelle prime settimane di contagio in Italia, ed è stata la prima a proporre già a fine aprile il suo piano di rilancio (con aiuti pari ad oltre 5 milioni di euro) per tutte le Associazioni e società sportive ad essa affiliata focalizzandosi sui settori giovanili, linfa vitale del movimento. Insomma ha guardato al futuro.
Eppure i disordini fra le alte sfere del movimento ci sono e promettono scintille.
E’ all’ordine del giorno la frattura e continua polemica, a botta di comunicati stampa, fra la FIPAV – “rea” di aver concluso i campionati alla data del 8 aprile (senza assegnazione di scudetti, promozioni e retrocessioni) – e le Leghe maschile e femminile di serie A (con i loro presidenti Fabris e Mosna dimissionari).
Continua, poi, la protesta contro la Lega da parte dei procuratori, dopo i tira e molla dell’ultimo mese, e degli atleti. Quest’ultimi – invocando non è ben chiaro quali norme (!) – hanno inondato le proprie bacheche social di lettere di protesta coniando il nuovo slogan con hashtag “ilmiosportèINdifferente” vista la lamentata riduzione dei compensi, come proposta dalle due Leghe alle proprie consorziate.
Giusto per chiarezza, la Lega maschile ha indicato ai propri club consorziati delle linee guida da seguire ed, ossia, che in Superlega non vi fossero decurtazioni per gli stipendi netti fino ai 20.000 euro, mentre per tutti gli altri un taglio del 30%. E, ancora, ha dato indicazione che in A2 e in A3 la linea da seguire fosse la decurtazione del 25% dei compensi netti complessivamente pattuiti con i tesserati per la stagione sportiva 2019/2020. Gli atleti ed i procuratori hanno contestato a lungo queste “prese di posizione” chiedendo che non fossero proprio applicate decurtazioni o che, quantomeno, le stesse fossero di gran lunga inferiore. Una cosa è certa. Diritto o meno, non si può fare di tutta l’erba un fascio.
Il “teatrino” di queste settimane si sarebbe potuto evitare: le trattative dei procuratori avrebbero dovuto svolgersi con i singoli Club, considerando innanzitutto che non tutti hanno sospeso le attività nello stesso momento (vedi Monza che ha continuato, fino al definitivo stop imposto dal Governo, le sedute di allenamento). Non solo! Non tutti stanno avendo gli stessi problemi con gli sponsor, con gli impianti, e così via. Insomma, la geografia del volley di serie A di questa stagione è ampia e dissimile.
In ogni caso, in punto di diritto – e badate bene questo non significa che club già inadempienti ben prima dello stop dei campionati la possano far franca rispetto ai propri obblighi – è chiaro che la prestazione sportiva, sebbene per cause non imputabili ad alcuna delle parti, non sia stata adempiuta e pertanto, in caso di eventuali contenziosi, le società sportive si potranno facilmente appellare alle norme di cui agli artt. 1256 c.c. (impossibilità sopravvenuta) e 1467 c.c. (eccessiva onerosità sopravvenuta) vedendo ridotti e riparametrati i compensi di giocatori e staff tecnici
Ma prima di arrivare ad inutili e lunghi contenziosi, l’invito è di evitarli in toto cercando conciliazioni, soluzioni condivise con il singolo club: quello che oggi necessita è solo un po’ di buon senso da parte di tutti gli attori in causa.
Nella protesta degli ultimi giorni, i pallavolisti invocano la “regolarizzazione” del proprio status: in fondo loro sono dei veri e propri “professionisti di fatto” visti i compensi che girano nelle serie maggiori, certo lontani da quelli dei calciatori, ma molto più sostanziosi di parecchie altre discipline dilettantistiche.
Probabilmente è vero. Serve una normativa ad hoc per queste figure “ibride” di sportivi.
Ma, dispiace dirlo, non è questo il momento: a meno di lungimiranti provvedimenti semplificativi da parte del Legislatore, altamente irrealizzabili, qualsiasi costo previdenziale ed assicurativo, nel breve periodo, sotterrerebbe il movimento considerando che le risorse per la prossima stagione appaiono già risicate.
Ora il primo pensiero deve essere quello di tornare in palestra, ma in totale sicurezza, con la previsione di poter disputare gare con i palazzetti aperti e pieni di pubblico. Quanti hanno visto l’ultima gara ufficiale di Superlega, trasmessa in Rai, capiranno con esattezza quello che si sostiene. La desolazione di un campo vuoto, senza pubblico, snatura il senso dello sport, come più volte ribadito anche da Katia Pedrini, numero uno del Volley Modena, una delle poche big favorevole alla chiusura del campionato.
Continuare la stagione avrebbe significato campi vuoti e desolati: quello che forse vuole il calcio. Quel calcio che riempie le prime pagine dei quotidiani e dei telegiornali e che con una prova di forza, visti gli interessi economici in gioco, vuole tornare in campo. Quel calcio che sta offrendo il peggior spettacolo sportivo di sempre; quel calcio che pensa solo ai soldi e non ai tifosi, quel calcio a cui non importa di giocare in stadi vuoti, ma a cui importa solo, questo almeno quello che traspare, di non dover perdere soldi di sponsorizzazione e proventi dei diritti tv.
La Federazione Italiana Pallavolo, forse, dovrà affrontare contenziosi da parte di qualche big fra i club, sostenuto dalla Lega stessa, che voleva giocare almeno i play-off scudetto e che ritiene la delibera federale del 8 aprile 2020 emanata con eccesso di potere. Giocare, ma quando non si sa, vista l’attuale situazione epidemiologica che non accenna, più di tanto, a diminuire.
Ma tutto ciò non ha senso, e non dimostra buon senso lasciando spazio anche perplessità giuridiche sulla validità della “velata minaccia” di azione legale considerando la recentissima pronuncia n. 22/2020 delle Sezioni Unite del Collegio di Garanzia del CONI che ha sancito espressamente come lecito l’esercizio di potere di controllo di una Federazione sulla propria Lega che può esplicitarsi anche nella legittimazione all’adozione di un “contrarius actus”, quale espressione della potestà autorizzativa dell’ente controllante.
Oggi è la salute di tutti il vero baluardo da salvaguardare. Bisogna stringere i denti, come tutte le categorie, di lavoratori e non, stanno facendo. Non è il tempo dello “show must go on” per lo sport, e l’annullamento di eventi internazionali, primo fra tutti le Olimpiadi, ne è la semplice dimostrazione.
E’ il tempo del “buon senso”, il tempo che federazioni, leghe, società, atleti e tecnici, e tutti gli addetti ai lavori, pensino al futuro, pur difficile che ci attende, sapendo che oggi lo spettacolo non può andare avanti perché non sarebbe uno spettacolo.
I pallavolisti, siano sì dei “sovversivi”, ma solo perché il loro sport è differente: è quello “dove la squadra conta cento volte più del singolo, dove i propri sogni individuali non possono che essere realizzati attraverso la squadra, dove sei chiamato a rimettere in gioco sempre ed inevitabilmente quello che hai fatto”.
Oggi, più che mai, è il tempo di far squadra.