Fattispecie: accertamento della violazione, da parte della Corte Federale di Appello, in funzione di Corte Sportiva di Appello, della Federazione Italiana Sport del Ghiaccio (FISG), della normativa processuale di cui all’art. 288 c.p.c., “correggendo” una sentenza in assenza delle parti, senza contraddittorio e senza che alcuna di esse ne avesse fatto richiesta. In particolare il Collegio ha evidenziato come la Corte avesse disposto la sanzione della perdita della gara, successivamente trasformandola, mediante un uso improprio, illegittimo ed inappropriato dell’istituto della correzione, in ripetizione della gara.
A mente dell’art. 2, comma 6 del CGS CONI, “per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva”.
In tal guisa, sono applicabili al processo sportivo le norme processuali di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c. Queste ultime, nel disciplinare l’istituto della correzione materiale delle sentenze o più in generale dei provvedimenti giurisdizionali, rispettivamente stabiliscono che “le sentenze contro le quali non sia stato proposto appello e le ordinanze non revocabili possono essere corrette, su ricorso di parte, dallo stesso giudice che le ha pronunciate, qualora egli sia incorso in omissioni o in errori materiali o di calcolo” e che “Se tutte le parti concordano nel chiedere la stessa correzione, il giudice provvede con decreto. Se è chiesta da una delle parti, il giudice, con decreto da notificarsi insieme col ricorso a norma dell’articolo 170, primo e terzo comma, fissa l’udienza nella quale le parti debbono comparire davanti a lui. Sull’istanza il giudice provvede con ordinanza, che deve essere annotata sull’originale del provvedimento. Se è chiesta la correzione di una sentenza dopo un anno dalla pubblicazione, il ricorso e il decreto debbono essere notificati alle altre parti personalmente. Le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione”.
Orbene, nella vicenda oggetto di scrutinio, alcuna parte aveva proposto istanza di correzione né tanto meno è stata fissata una udienza ad hoc dalla Corte Sportiva di Appello, che comunque non avrebbe potuto operare motu proprio, non essendo prevista dalla norma in esame tale alternativa (cfr. Cassazione civile, sez. VI, 12 luglio 2018, n. 18442, secondo cui “la legittimazione a chiedere la correzione della sentenza asseritamente affetta da omissioni o da errori materiali o di calcolo spetta esclusivamente alle parti del giudizio in cui la stessa è stata pronunciata”).
Il Collegio ha altresì sottolineato che il procedimento di correzione si fonda su caratteristiche ben precise, nel senso che per errore materiale e/o di calcolo deve intendersi un difetto di corrispondenza fra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica (cfr. Cassazione civile, sez. VI, 11 gennaio 2019, n. 572) o ancora consiste in un’erronea utilizzazione delle regole matematiche sulla base di presupposti numerici, di individuazione ed ordine delle operazioni da compiere, esattamente determinati e non contestati (cfr. Cassazione civile, sez. VI, 29 gennaio 2019, n. 2486).
La giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto modo di affermare che “il procedimento per la correzione degli errori materiali di cui all’art. 287 c.p.c. è esperibile per ovviare ad un difetto di corrispondenza fra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento mediante il semplice confronto della parte del documento che ne è inficiata con le considerazioni contenute nella motivazione, senza che possa incidere sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione” (Cassazione civile, sez. VI, 11 gennaio 2019, n. 572) nonché, anche tenendo conto di una possibile errata utilizzazione di file informatico, che “il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo, previsto dagli artt. 287 e 288 c.p.c., è esperibile non solo per ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo del provvedimento e, come tale, rilevabile “ictu oculi”, ma anche in funzione integrativa, in ragione della necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato, ovvero una statuizione obbligatoria di carattere accessorio, anche se a contenuto discrezionale. Può inoltre farsi ricorso a tale procedimento quando il giudice, nel redigere la sentenza e in conseguenza di un mero errore di sostituzione del “file” informatico, abbia commesso uno scambio di provvedimenti nella fase di impaginazione, facendo seguire, ad un’epigrafe pertinente, uno “svolgimento del processo”, dei “motivi della decisione” ed un dispositivo afferenti ad una diversa controversia decisa in data coeva nei confronti delle stesse parti: in tal caso, infatti, l’estensione della correzione non integra il deposito di una decisione affatto distinta, la quale verrebbe interamente sostituita a quella corretta” (Cassazione civile, sez. III, 14 febbraio 2019, n. 4319).
Nella vicenda oggetto di delibazione da parte del Collegio, nessuna delle ipotesi richiamate in funzione nomofilattica dalla Suprema Corte poteva trovare cittadinanza, comportando così una palese violazione di diritto che, pertanto, inficiava la decisione di correzione del Giudice a quo.